Capitani di ventura nel Quattrocento in Italia


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I capitani di ventura erano comandanti di truppe o di eserciti mercenari assoldati dai governi per imprese militari. Nato con le Crociate, questo fenomeno ebbe la sua massima diffusione durante il Quattrocento ma perse molto del suo rilievo allo scadere del XVI secolo con la formazione di eserciti regolari. Le compagnie di ventura erano formate da soldati di mestiere e spesso da feroci masnadieri pronti a tutto, mentre i loro capitani appartenevano a potenti famiglie e utilizzavano l'arte militare per aumentare ricchezze, territori e fama. In questo travagliato periodo politico si perfezionò anche la "scienza militare", fatta di strategie e tattiche di combattimento, rese più complesse dall'introduzione dell'artiglieria pesante e dall'uso delle armi da fuoco, che portarono al potenziamento della fanteria a scapito della cavalleria. Il nome condottiero deriva dalla "condotta", che era il contratto stipulato dai governi con gli uomini d'arme. I capitani di ventura perseguivano l'ideale umanistico della gloria militare e della fama: alcuni di loro, come Niccolò Piccinino, il Gattamelata, Bartolomeo Colleoni, Niccolò da Tolentino, Federico da Montefeltro e Francesco Sforza furono molto amati ma anche odiati, osannati ma anche insultati come traditori per i loro frequenti cambi di fronte. Con Francesco Sforza, che divenne nel 1450 Signore di Milano, Colleoni ebbe un rapporto di competizione ed emulazione, che, alla morte dello Sforza, si trasformò in odio verso il figlio di questi, Galeazzo Maria.